di Paolo Paolacci -
Abbiamo incontrato l' ex pilota tiburtino Gian Luigi Picchi per il nuovo libro "Alfa Romeo GTA" (scritto insieme con Vladimir Pajevìc, pubblicato da ASI Service con prezzo di copertina a 28 euro) anche per accorciare la distanza che ognuno di noi crede di avere con i motori e le macchine in generale. Questa intervista prova a dimostrare come l'uomo, utilizzando la macchina, e che macchina, alla fine sta semplicemente misurandosi con se stesso. Per vincere.
Gian Luigi, cos'è un motore e cos'è una macchina?
“Nel Racing due strumenti con cui si ha un rapporto privilegiato, il motore ha una sua 'voce' o se volete un ululato e la macchina ha una sua "anima", ti accompagna nelle competizioni ed è la depositaria di tutte le sensazioni provate in corsa”.
Qual è il piacere di guidare, di correre e di vincere?
“Nel pilotare è inebriante la velocità e l'inscrivere la vettura da competizione alla massima velocità in curva frenando il più tardi possibile in ingresso ed accelerando prima possibile in uscita per avere una maggior velocità sui tratti rettilinei. Il 'correre in pista' è l'armonico rapporto tra pista, macchina e pilota, una simbiosi alla ricerca della perfezione della prestazione il cui obiettivo è la ricerca della Vittoria. Salire sul gradino più alto del podio dopo aver vinto è la massima gratificazione per un pilota che ha lavorato duramente per ottenere il risultato collaborando con i tecnici nella messa a punto del mezzo per arrivare al massimo rendimento ed è la ricompensa per tutti i componenti la squadra”.
Come nasce questa passione e che cosa alla fine la ferma?
“La passione per le macchine e poi per le corse era nel mio DNA ed è cominciato con il kart. Alla nascita del primo dei tre figli ho capito che le priorità nella vita erano altre piuttosto che appagare l'orgoglio personale di pilota vincente”.
Giulia GTA: com'è nato questo incontro e come, se 'possiamo dirlo, ci si innamora di una macchina così?
“Mi attrasse questa vettura, icona del motorsport, assistendo da spettatore, ancora senza patente, ad una corsa a Vallelunga non immaginando che anni dopo sarei stato chiamato dalla Alfa Romeo Autodelta per portarla in pista su tutti i circuiti europei come pilota ufficiale della casa del Biscione. Certo ci si innamora di una auto così, a metà degli anni 60 tutti i ragazzi appassionati di auto erano follemente attratti dalla GTA, così come ancora oggi gli appassionati e i fortunati possessori di una di queste auto d'epoca”.
Nel libro appena uscito, c'è un capitolo tuo dedicato proprio a questo "rapporto" tra una Giulia GTA e il suo guidatore (peraltro molto intuitivo): com'è nata l'idea e ci racconti qualcosa in merito?
“Nel libro appena uscito, 'Alfa Romeo GTA', scritto da Vladimir Pajevic e da me, nel contesto di tutte le note tecniche, ho scritto un capitolo dove sfiorando la tecnica di pilotaggio faccio parlare la GTA in un giro immaginario a Monza tra passato e presente. Come ho scritto, secondo me le auto che noi tutti usiamo giornalmente e ci hanno accompagnato in vari periodi della nostra vita hanno un'anima, quando con il termine anima indico che a loro sono legati i ricordi belli e brutti di periodi del nostro vissuto, della nostra famiglia, prima ancora dei nostri genitori quando da piccoli viaggiavamo su questo strumento di libertà che ci conduceva lì dove avevano progettato di andare. l'idea del racconto nasce da lì, nell'altro mio libro 'I miei anni in Autodelta' invece c'è la storia di quelle stagioni corse con la GTAm, e la GTA Junior con le cronache dettagliate dei campionati corsi e delle 11 vittorie ottenute nel Campionato Europeo con la conquista del Titolo nel 1971”.
I motori molte volte, almeno in passato, erano infatti collegati alle donne per dire che erano una mix vincente del successo: tu cosa pensi oggi di questo accostamento nel passato?
“Sì, ai box si vedevano molte belle donne, alcuni piloti erano dei tombeur de femme, ma in generale queste leggende sono dettate dall'immaginario collettivo, il pilota ha necessità di stabilità affettiva e la maggior parte avevano con sé compagne stabili o mogli. La necessità di concentrazione poteva essere compromessa dalla presenza di 'cacciatrici di piloti', alcune facevano 'collezione' vantandosi con quanti erano andate a letto”.
Che cos'è che è cambiato oggi nel modo di guidare rispetto a ieri?
“L' enorme differenza è dettata e in corsa e su strada per gli utenti dalla elettronica e dalle gomme e dalla frenatura e tenuta di strada. In special modo nel racing, e gli appassionati di F1 lo sanno bene, c'è un appiattimento delle differenze nella capacità di pilotaggio dovuta appunto ad elettronica, aereodinamica e specialmente dal grip dei pneumatici. In passato per un pilota forte, un pilota vero, era più facile vincere. Oggi per un fuoriclasse del volante è più difficile vincere per quanto si è detto, i suoi valori di pilotaggio fanno meno differenza con piloti di minor capacità. Se nel passato la capacità di affrontare il rischio faceva la differenza, oggi, con la giusta politica di sicurezza passiva del mezzo e degli autodromi moderni, la differenza tra due piloti forti è dettata dalla forza mentale, resistere alla pressione che si subisce in corsa”.
Quanta prudenza e quanta incoscienza ci vuole per vincere oppure serve un'altra cosa?
“A volte a questa domanda rispondo che per andare forte è necessario andare piano, quando per 'piano' si intende non superare mai il limite in corsa per evitare incidenti ma specialmente per ottenere il massimo della prestazione di pilotaggio, se vai oltre il limite senza sbattere significa aver sbagliato nell'impostare una curva, in gergo andare lunghi perdendo tempo. Incoscienza no, gli incoscienti una volta morivano o andavano generalmente oltre i limiti e quindi non erano veloci, quando per vincere è necessario essere veloci con ritmo, in sintesi tutti i giri al massimo senza errori”.
Un'immagine o una frase che hai in mente per rendere umanamente utile tutta la tua carriera e che può esprimere tutta la tua esperienza.
“La ricerca della perfezione nelle prestazioni, l'equilibrio nell'affrontare ogni situazione in pista con il massimo della freddezza e forza mentale creano quel mix senza il quale non si avrebbe un metodo vincente. Una buona dose di saggezza non facendosi sopraffare da uno sciocco orgoglio. Imparare ad 'essere' piuttosto che ad 'apparire'. Concretezza, tutte cose che mi sono servite nella vita, frutto anche della funzione educativa dello sport”.
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